Se ne è andato dal mondo così come se ne era andato dal Bari. Bruscamente ed inaspettatamente. Quasi a voler impedire al tempo di offuscarne l'immagine di portiere moderno ed esplosivo. In biancorosso era accaduto lo stesso: della squadra di Fascetti era una delle colonne ma se ne andò dalla sera alla mattina, con gli occhi dei tifosi ancora stregati dalle tante parate impossibili dei tre anni precedenti. Tutto o niente: Franco Mancini era così e così è rimasto, sino in fondo.
Seppe di essere del Bari quando ancora difendeva i pali del Foggia. ma questo non gli fece abbassare la guardia, all'ultimo derby: Ventola riuscì a bucarlo allo Zaccheria prima di emulare l'Uomo Ragno e finì in pareggio. L'anno dopo fu serie A, con lui fra i pali dopo tante stagioni in rossonero. Inizio in salita, che si fece ripidissima dopo una sciagurata partita sul campo della Lazio: la vittoria a sopresa, la prima dell'anno, sembrava cosa fatta al 91,' ma la voglia di strafare, nello stadio in cui Zeman se l'era portato in dote, gli giocò in brutto scherzo. Pareggia Signori, Nedved mette addirittura la freccia, con un diagonale che fa passare goffamente il pallone in mezzo alle gambe, sotto il corpo ormai accovacciato. A molti sarebbe bastato molto meno per non tornare al San Nicola. Non a lui, che aveva fatto del pericolo il suo mestiere, giocando a fare più il libero che il portiere, nel 4-3-3 del suo maestro che aveva rinnegato il difensore staccato per lasciarlo, in via residuale, all'ultimo guardiano. Arrivederci, Roma. E da allora fu un crescendo, di tuffi e mezzi miracoli. Presa d'accaio e dinamite nelle cosce tornite: Baggio e Ronaldo se lo ricordano ancora, e più di tutti Ganz cui negò il gol di testa, da pochi passi. Ne lesse l'intenzione e la traiettoria, partì sicuro a deviare la sfera ancor prima che la colpisse l'avversario, stupendo uno stadio intero tranne sé stesso. A tutti questi e ad altri ancora sbarrò la strada e non è un caso che l'ultimo a segnargli, in biancorosso, fu un illustre Carneade.
Si chiamava Checco De Napoli, baresissimo attaccante che aveva trovato la sua dimensione in serie C, dopo la trafila nelle giovanili. Giocava nel Fasano, quando si tolse lo sfizio di battere Mancini e con lui il Bari in amichevole, in un precampionato burrascoso che puzzava di retrocessione. Che avvenne puntualmente, nonostante Cassano ed Osmanovski, ma senza che ad officiarla, fra i pali, ci fosse il Giaguaro. Lui aveva fatto le valigie quando ancora era agosto, con Garzia: capitano e vicecapitano alla porta. Così, d'amblais. Senza spiegazioni convincenti, come solo a Bari è possibile avvenga. Il declino, dopo il passaggio nel Napoli peggiore della storia, fu repentino: C in corsa a San Benedetto e a Teramo, un'ultima comparsata da queste parti, a Trani, giusto il tempo per capire che non era più cosa.
A Bari sarebbe ritornato volentieri, con qualunque incarico. Nel frattempo Zeman l'aveva ripreso con sé, come allenatore dei portieri: Foggia e poi Pescara. Ieri, senza retorica, sarebbe stata la sua partita: il suo presente contro una fetta importante del suo passato. Sarebbe stato meglio non giocarla che vincerla, con quel ricordo che ci martella la testa. Lui che svolazza da un palo all'altro, e noi che ci chiediamo ancora come ci sia riuscito, senza mantello.
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