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Generazione di fenomeni
10 Settembre 2010 - © Riproduzione Riservata  - Marco Iusco 
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"Generazione di Fenomeni"

Un viaggio attraverso l’Associazione Atlantide che ha reso speciali persone con disagi

Discriminazioni sul posto di lavoro: alcune storie vere …
La dignità dell’uomo è nel lavoro, nella capacità di procurarsi con i propri sforzi quanto gli è necessario per poter sopravvivere. Il lavoro è un diritto inderogabile per tutti gli uomini, sia sani, sia che vivano situazioni di disagio. Purtroppo per quanto ci si prodighi per una società priva di pregiudizi e coesa in cui, per esempio, ragazzi di diversa nazionalità condividano lo stesso posto di lavoro e le tendenze sessuali restino relegate alla sfera intima di ciascuna persona, nella realtà italiana il cammino verso l’integrazione è ancora arduo.

Il riferimento è alla situazione in Italia in cui, più che in altri paesi europei, la coesione sociale è avvenuta solo esteriormente. Attualmente, infatti, è sempre più comune incontrare ragazzi omosessuali in qualità di commessi in esercizi commerciali di abbigliamento. Il più delle volte la motivazione di questi contratti di lavoro non sussiste nel dare delle possibilità a qualcuno che potrebbe essere discriminato, ma nella tendenza di catturare maggiormente l’attenzione del cliente. I titolari di tali negozi si assumono la prerogativa di poter sfruttare un personale percorso doloroso per i propri vantaggi economici. Sempre nella nostra nazione, grazie ad un noto reality show, sono divenute popolari donne diventate uomini e uomini diventati donne. Ciò ha contribuito sia a far conoscere agli innumerevoli spettatori televisivi problematiche legate a disturbi della personalità, sia ad utilizzare questi casi per fare audience. È stata sfruttata nuovamente la sofferenza per il raggiungimento di benefici economici. Di conseguenza, se ne deduce che l’accettazione della diversità non sussiste nell’apparenza, ma nella consapevolezza e nell’umiltà di considerare gli uomini tutti figli di un unico Dio e pertanto con gli stessi diritti. La speranza è quella di giungere, in un giorno non molto lontano, a far parte di una società in cui ciascuno, per esempio, possa esprimersi a proprio piacimento o secondo le proprie tradizioni nell’abbigliamento, nei modi di fare e di essere.

Intanto qui sono riportate delle esperienze dirette, storie vere, di alcuni ragazzi disagiati che hanno dovuto affrontare delle dure prove di discriminazione nell’ambito lavorativo. Tali vicende, per rispetto alla sofferenza provata dai protagonisti, verranno lasciate in questo ambito anonime.
Una ragazza poco più che trentenne, diplomata presso una scuola di estetica, riconosciuta dalla Regione Puglia, ebbe l’opportunità di lavorare come aiuto estetista presso un centro estetico gestito a livello familiare. L’integrazione iniziale e la disponibilità della titolare e delle colleghe sembrava far presagire un’esperienza del tutto positiva di crescita ed apprendimento. Alle prime difficoltà mostrate dalla ragazza, quali la mancanza di puntualità, le modalità differenti di esecuzione di tecniche estetiche, e la lentezza della messa in pratica, portarono alle prime incomprensioni. Venne inizialmente messo in discussione il titolo di studio della ragazza, ed in seguito anche le sue capacità. Alla giovane donna fu impedito di lavorare con le clienti. Le era permesso solo di guardare il lavoro delle altre estetiste, e le fu dato un manuale affinché, durante le ore lavorative, studiasse le tecniche estetiche più innovative. Per di più le giungevano insulti che sottolineavano il fatto che stesse percependo uno stipendio senza essere materialmente di aiuto. La ragazza fu così relegata a svolgere lavori di pulizia. Intanto la sopraffazione e la discriminazione raggiungevano livelli sempre più alti, arrivando a vietarle la possibilità di usufruire dei servizi igienici e di collocare la giacca sull’appendiabiti dei dipendenti. Andare a lavoro ogni giorno diventava sempre più difficile all’interno di un ambiente ostile come quello. Gli incubi non lasciavano che la ragazza riposasse serenamente, ma la necessità di un lavoro era più forte di qualunque umiliazione. Quando le fu mostrato disprezzo anche nei confronti delle pulizie effettuate, la giovane comprese che per il proprio benessere doveva necessariamente licenziarsi. Fu necessario molto tempo affinché potesse mettere da parte questa brutta esperienza. Gli incubi a volte la tormentano ancora.

Una ragazzina ancora minorenne fu protagonista di un’altra storia di discriminazione sul posto di lavoro. La teenager lavorava presso un’agenzia di volantinaggio che richiedeva mediamente 12 ore di lavoro giornaliere, senza pausa pranzo, e retribuiva minimamente i propri dipendenti. Ciascun ragazzo doveva distribuire circa 3000 volantini pubblicitari nelle varie zone di provincia affidate. La temperatura elevata delle ore pomeridiane del mese di Agosto, ed il peso estenuante della cartella carica di volantini su una corporatura abbastanza esile, comportarono un cedimento fisico della ragazzina. Quando l’adolescente mostrò la propria stanchezza, le fu ordinato di proseguire con la distribuzione. Sui suoi passi aumentarono i controlli. La ragazzina, per sopperire alla propria necessità di riposo, dovette necessariamente imbucare due volantini per volta nelle cassette postali. Non appena i controllori verificarono tale situazione, non esitarono a caricare la teenager in macchina con modi del tutto sgarbati, ed abbandonarla in una stazione ferroviaria di un paesino limitrofo, senza neanche il denaro necessario per il biglietto di ritorno verso casa. L’adolescente non sapeva neanche in quale località si trovasse. Anche in questo caso, l’impatto psicologico dell’esperienza fu abbastanza traumatico: seguirono giorni e giorni di stanchezza e di pianti che hanno lasciato una pesante impronta sulla personalità della protagonista.

Le due protagoniste delle storie appena narrate rappresentano solo degli esempi delle innumerevoli situazioni di discriminazione sul posto lavorativo. Le loro esperienze necessitano di essere raccontate per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’esistenza e sul superamento di situazioni simili, oggigiorno sempre più comuni. Queste ragazze hanno però avuto la fortuna di incontrare sul loro cammino qualcuno che ha dato loro una possibilità di riscatto e di integrazione sociale, con buone prospettive lavorative future.
Si tratta dell’Associazione Atlantide…

Associazionismo, Integrazione e Promozione Sociale
L’Associazione “Atlantide – la Città Ritrovata”, che ha come motto la massima del filosofo Platone: “… Atlantide è la città dei sogni, culla ideale della civiltà e simbolo di libertà: esiste nei nostri sogni, da molto, molto tempo …”, nasce grazie al contributo di “Principi Attivi”, un’iniziativa realizzata dalla Regione Puglia, con lo scopo di promuovere la capacità progettuale e la creatività dei giovani pugliesi.
L’Associazione è costituita da persone che hanno vissuto il disagio direttamente sulla propria pelle, e che proprio per questo hanno deciso di rimettersi in gioco e di iniziare un percorso di superamento della propria chiusura, rendendo la propria condizione di diversità una ricchezza morale a disposizione degli altri. L’Associazione ha come fine nobile quello di promuovere la condivisione sociale tra le persone che la società moderna normalmente discrimina in quanto portatori di disagi psichici e/o disturbi fisici.
L’Associazione ha svolto le seguenti attività: organizzazione di spazi d’informazione; istituzione di eventi per la diffusione dell’arte e della cultura attraverso manifestazioni; laboratori di Yoga e meditazione, teatro, pittura, cinema, scrittura creativa, poesia, musica; azione di sostegno, educazione e formazione per l’esercizio reale dei diritti civili (in particolare quello salutare); infine come attività fondamentale e caposaldo dell’Associazione si annovera l’organizzazione stabile di gruppi di auto-mutuoaiuto.
Grazie all’integrazione fra le esperienze e le specificità di ogni componente è stato possibile realizzare iniziative su più fronti, supportate sempre da un’organizzazione attenta, scrupolosa e puntuale ad ogni esigenza.

Spettacolo teatrale e musicale come evento conclusivo
Il 17.07.2010 alle ore 21,00 presso l’atrio del Comune di Triggiano, i ragazzi dell’Associazione Atlantide hanno inscenato lo spettacolo teatrale: “CORPI DI CONFINE: PROVE PUBBLICHE DI ATTRAVERSAMENTO” a cura della regia di Donatella Tummillo e con la selezione musicale di Rossana Rubino. Lo spettacolo rappresenta il risultato finale del laboratorio di teatro sociale intitolato “Viaggio nei territori dell’anima” che ha visto come conduttrici Ketty Donatelli e Cristina Lapedota. Lo spettacolo è stato suddiviso in due atti ed è cominciato a porte chiuse.

L’atmosfera appariva grottesca. Solo dei piccoli ceri collocati in semicerchio sull’atrio comunale illuminavano la scena. Gli attori indossavano lenzuola bianche che li coprivano interamente. Sembravano tormentati visto che emettevano dei lamenti strazianti. Illuminavano il loro volto tramite delle torce. Risultava chiaro che ogni protagonista stesse rappresentando il malessere della propria anima, tormentata dalla mancanza di sensibilità da parte della società (gli spettatori). Il pubblico veniva pertanto condotto per mano a sedersi accanto ai rappresentanti sparsi in platea affinché capisse la loro sofferenza. Attraverso questo piccolo sforzo di comprensione, i soggetti generalmente considerati “diversi” iniziavano una ricerca della propria vera identità. Quindi i protagonisti si alzavano, giravano intorno a loro stessi, facendo la conoscenza di soggetti con cui condividevano problemi simili. La strada cercata non risultava affatto semplice da raggiungere in quanto comportava l’ammissione delle proprie difficoltà (un disturbo della personalità o un’ infermità). Un esempio è la presenza al centro della scena di Cristina Lapedota, una giovane ragazza alla ricerca della sua vera personalità, combattuta quotidianamente tra la ragazza “acqua e sapone” che tutti amano e rispettano, ed il suo alter ego Floriana, la giovane donna che vorrebbe diventare più autonoma ed indipendente, affermata nel mondo dello spettacolo. Da sottolineare è quindi che il copione dello spettacolo è stato scritto ed adattato a ciascuna tipologia di personaggio-patologia.
Sulla scena gli attori protagonisti truccavano se stessi ed i propri compagni con della cipria e del rossetto rosso. Andando al di là del significato denotativo, quello connotativo suggerisce un’interpretazione chiara dell’atto precedentemente descritto: l’azione del truccare il proprio volto simboleggia la necessità di indossare una “maschera” per inserirsi nella società, nascondendo quindi il proprio vero essere. Il riferimento a Pirandello sorge quindi spontaneo. In una delle sue più celebri commedie teatrali “Uno, nessuno e centomila” si fa riferimento a una delle tematiche più attuali di sempre. L’uomo è numericamente unico, ma indossa delle maschere ogni volta diverse a seconda del contesto e della gente che si trova ad affrontare. Ecco che l’individuo da unico ed inimitabile diventa molteplice. In una persona sono riscontrabili centomila aspetti diversi che lo rendono privo di personalità, difficilmente riconoscibile in una società dove ci si confonde nella folla, ci si amalgama fino a non ricevere più alcuna attenzione. L’uomo risulta pertanto solo con se stesso, pur se immerso in un ambiente affollato. La soluzione a questa visione pessimistica della condizione sociale dell’uomo viene offerta dalla regista attraverso l’atto degli attori protagonisti di sciacquarsi il volto “mascherato” con dell’acqua pulita contenuta in alcune bacinelle. Solo in tale maniera poteva avvenire una rinascita: nell’accettazione del proprio essere privo di qualsiasi formalismo.
Il secondo atto rappresentava la messa in pratica della nuova vita da parte dei rappresentanti. Ognuno si cimentava con il proprio talento nascosto portato alla luce. Giuseppe Tanzi, curatore del laboratorio musicale, si è occupato per esempio di far riaffiorare il talento musicale dei suoi compagni. Giuseppe non aveva né competenze teoriche né studi musicali alle spalle, ma solo un buon “orecchio” e tanta intraprendenza. Grazie al suo lavoro, gli attori si sono potuti organizzare in una piccola orchestra costituita da: chitarra acustica ed elettrica, basso, batteria e tubo della pioggia. La parte conclusiva è risultata commovente. Giacomino Dirutigliano, un ragazzo che non suonava da oltre 20 anni, si è esibito con la chitarra in “La canzone di Marinella”, celebre successo di Fabrizio De Andrè. La canzone narra di un’ingenua fanciulla che idealizza un amore che invece la delude e la porta al suicidio facendosi annegare in un fiume. Il riferimento all’attività di crescita di questi ragazzi è plateale: una nuova vita può essere la chiave dell’inserimento all’interno di una società, ma questo processo deve avvenire con realismo ed umiltà, poiché si tratta di un cammino arduo che può presentare ovunque delle falde in cui cadere.
Hanno preso parte alla suddetta rappresentazione teatrale tra gli altri: Silvana Mangialardi, A. Cagnetta, P. Nicastro, M. Di Pinto, L. Terrafino, P. Marangelli, A. Cavanenghi, Manuela Tarantino, Vito Donatelli, M. De Giosa, P. Laricchiuta, N. Glionna, A. Cristiani, G. Romano, C. Nardulli, Gabriele Ippolito e A. De Bellis.

Intervista realizzata alla presidentessa dell’Associazione “Atlantide”, Ketty Donatelli, e ad una delle quattro socio-fondatrici, Cristina Lapedota.

1. Quali difficoltà ha comportato il processo di costituzione dell’Associazione “Atlantide”? Come è nata l’idea?

Questo progetto è nato da un concorso finanziato dalla Provincia di Bari. All’interno della Cooperativa Alice, in cui lavoro, non appena abbiamo saputo dell’esistenza di questo bando di concorso promosso dai “Principi attivi”, che metteva a disposizione dei finanziamenti per i giovani, abbiamo pensato in maniera democratica di parteciparvi. E’ stato spontaneo, sincero e naturale pensare a persone che nel corso della loro vita hanno provato sofferenze, ed abbiamo quindi deciso di scritturare un progetto che avesse come obiettivo principale “l’inclusione sociale” e “la socializzazione”. Inizialmente non confidavamo sul fatto di essere prescelti, ma abbiamo guadagnato subito i piani alti della graduatoria e siamo partiti. La prima parte è stata dura, soprattutto quella che riguardava l’iter burocratico. Abbiamo dovuto scrivere il nostro statuto ed anticipare i sovvenzionamenti necessari. Una volta giunti i finanziamenti della Regione, ne abbiamo ricevuto il rimborso. Il progetto è stato approvato anche grazie alle quattro socio-fondatrici prescelte : Cristina Lapedota, Manuela Tarantino, Silvana Mangialardi ed io. Queste ragazze dovevano rientrare nell’età prevista per poter partecipare al progetto ed avere delle competenze per poter dirigere uno dei laboratori previsti nell’organizzazione dell’Associazione. Un esempio concreto è quello di Cristina che, avendo precedentemente effettuato un corso di formazione teatrale, è riuscita benissimo nel suo ruolo di “insegnante” ed attrice.
Inizialmente si era creato molto scetticismo intorno a noi, ma alla fine abbiamo dimostrato a tutti concretamente di essere riusciti, come Associazione, a raggiungere con successo tutti gli obiettivi preposti.


2. Che aspettative riponete nell’Associazione? Al termine dei sovvenzionamenti, in che modo intendete proseguire con i progetti avviati dall’Associazione?

Bella domanda questa! Abbiamo già partecipato ad altri progetti anni fa, però questi non sono riusciti a sopravvivere oltre il progetto stesso e hanno lasciato solo un bel ricordo, ma nessuna prospettiva futura.
Per quel che invece concerne questa Associazione, al termine dei sovvenzionamenti regionali cercheremo di farcela con i nostri mezzi. Abbiamo pensato, per esempio, che per ricevere un piccolo introito, al fine di garantire il proseguimento del l’esistenza della nostra Associazione, sarebbe possibile vendere i prodotti da noi creati durante i laboratori manuali: portagioie, vasi e piatti decorati con la tecnica del decoupage. Delle altre possibilità potrebbero essere quelle di rendere vendibili i nostri spettacoli teatrali nelle scuole e nelle sagre locali,e proporre il tesseramento per l’anno venturo a coloro che hanno già potuto godere dei privilegi offerti dall’Associazione e a quanti vorranno aggiungersi alla nostra grande famiglia.

3. Vi rispecchiate nel titolo della canzone degli Stadio “Generazione di Fenomeni” che fu la sigla della celebre serie del 1991: “I Ragazzi del muretto”?

O più in particolare, vi rivedete nel messaggio di condivisione sociale che quella serie televisiva voleva lanciare? Si trattava di una generazione di ragazzi che si riunivano in un punto di ritrovo, ed affrontavano insieme le loro problematiche, condividendo gioie e dolori…

Si, in effetti ci rispecchiamo più nei protagonisti della serie televisiva, che nel testo della canzone stessa, sebbene il suo titolo sia altrettanto indicato a descrivere ciò che hanno realizzato questi ragazzi. In Associazione abbiamo sia parlato dei nostri problemi, che cenato assieme. L’Associazione è diventata, consentimi di dire, come un “utero materno”, al cui interno ognuno ha vissuto questa esperienza in maniera sincera ed unica. Ognuno è cresciuto personalmente, compresa la sottoscritta che ha avuto modo di apprendere dagli altri.

4. I “disagi” possono trasformarsi in un’occasione di crescita culturale ed integrazione con il prossimo.
Questi sono alcuni degli obiettivi preposti dalla vostra Associazione, cosa si può aggiungere?

A livello umano la nostra Associazione è basata anche sull’ascolto. Abbiamo notato che lavorando assieme, conoscendoci e frequentandoci, l’esito positivo del progetto poteva essere garantito solo attraverso un ulteriore ascolto reciproco delle difficoltà, delle paure e dei problemi dei partecipanti. Si è creato un gruppo che come primo obiettivo aveva quello di capirsi ed ascoltare. L’associazione ha captato le nostre esigenze e ha riflettuto su quale poteva essere il nostro inserimento all’interno della società, in qualsiasi campo (campo musicale, teatrale ed artigianale). Ognuno ha arricchito quindi il proprio bagaglio di esperienze, facendo percepire anche un compenso, se pur minimo, ai socio-fondatori che hanno coordinato le attività di laboratorio. Si sono sviluppate nuove competenze, oltre ad aver migliorato le proprie capacità. La nostra Associazione ha l’obiettivo di far emergere il nostro talento “nascosto” all’interno di questi incontri, al fine di inserirsi in quella società che ci ha da sempre giudicati troppo in fretta. Non abbiamo lavorato con direttori artistici famosi, o insegnanti di attività artigianali noti, ma ci siamo autogestiti. Siamo stati noi stessi ad essere alunni e docenti nelle varie attività. Il tutto è avvenuto nell’ arco di meno di un anno, nonostante lo scetticismo di tanta gente e tantissimi pregiudizi …

5. Si è creato un gruppo di amici anche oltre le ore di laboratorio?

Certo. Come già ampiamente detto, abbiamo avuto in primis l’occasione per conoscerci tutti: c’è stata una linea orizzontale e non verticale. L’accoglienza e il sentirsi “a casa”sono stati vissuti profondamente da tutti i partecipanti. Nessuna rivalità, solo tantissimo affetto ed amicizia vera, valore sempre più raro nella società odierna.

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